"LA FEBBRE" E PIPARO A TRIESTE:
"PER ORA CI FERMIAMO, MA IL PROSSIMO ANNO…"

Marzo 2002 - E’ sicuro di sé, Piparo: arrivato a Trieste per la terza e ultima tappa della fortunatissima tournee della sua "Febbre del Sabato Sera", già annuncia orgoglioso i progetti itineranti per la prossima stagione. "Staremo a Roma per almeno tre mesi, e poi partiremo per le maggiori città italiane. Per ora, dopo i quattro mesi di Milano e le tre settimane a Napoli, ci fermiamo a Trieste, e ne siamo davvero orgogliosi: primo perché è un bacino di pubblico molto ampio, e poi perché qui il musical è di casa."

Siamo al "Rossetti", uno dei tanti teatri del capoluogo giuliano, e uno dei pochi in Italia che dedica una stagione tutta al musical. Dopo la "Febbre", infatti, nel mese di marzo sono attesi "I Promessi Sposi" di Tato Russo, fresco di ben 7 premi IMTA 2001, e l’inedito "The Full Monty" targato Gigi Proietti. Poi c’è il Teatro "Verdi" con il classico Festival Internazione dell’Operetta, che ogni estate, da dieci anni a questa parte, ospita in prima nazionale le nuove produzioni della Compagnia della Rancia, spesso coprodotte dal teatro lirico. Insomma, una platea preparata ed esigente.

"A differenza del film con John Travolta, che tutti conosciamo", racconta Piparo, "la trasposizione teatrale è un vero e proprio musical. Il film era una scatola colorata, un cult-movie osannato da una intera generazione, con le canzoni immortali dei Bee Gees a far solo da sfondo. L'allestimento teatrale, invece, ha inglobato i brani, facendoli cantare ai protagonisti in modo che la storia vada comunque avanti. E, rispetto alla colonna sonora originale, sono stati aggiunti altri quattro pezzi, tra i quali Immortality e What Kind Of Fool".

Solleticato sul fatto che sia Planet Musical che la Compagnia della Rancia non vadano oltre gli anni Settanta, con le riprese di musical "d'annata", Piparo aggiunge: "Purtroppo in Italia, se non hai un film alle spalle che abbia fatto breccia nel pubblico, con il musical è molto difficile sfondare… E' meglio andare a colpo sicuro, dopotutto anche a Londra e Broadway, periodicamente si guarda indietro e si spolverano grandi successi del passato, come Il Re ed Io, o Kiss Me, Kate!, piuttosto che rischiare su cose nuove. Se poi pensiamo che anche Webber ha sbagliato gli ultimi due o tre colpi…"

L’intramontabile mito dell’Odissey 2001, dunque, giunge a Trieste con un allestimento interamente dal vivo - con l’orchestra nascosta sotto il palco - per far rivivere al pubblico atmosfere ed emozioni – e una spolverata di problematiche sociali quali droga, emarginazione, sesso – dei psichedelici anni Settanta.

E allora eccolo qua, Massimo Romeo Piparo, infaticabile macchina teatrale, a parlare volentieri con noi della sua creatura.

"La Febbre del Sabato Sera" arriva a Trieste a parecchi mesi dal suo debutto, che non è stato così facile. Cosa è cambiato nel frattempo?

Beh, si sono prese le misure, come dopo tutti i debutti… Abbiamo fatto i conti con questa grande novità, come fosse una bella scatola che ti arriva il giorno di Natale e non sai cosa c’è dentro! Comunque adesso lo spettacolo è rodatissimo, la compagnia è affiatatissima, lo stesso Sebastien Torkia, il protagonista, ha preso molta confidenza con la lingua italiana, quindi lo spettacolo viaggia su binari molto lubrificati.

Sebastien Torkia è stato "prelevato" a Londra: è stato davvero impossibile trovare l’interprete giusto in Italia (Piparo confessa che si era persino fatto il nome di Fiorello, pur di aver un nome "di grido" in cartellone)

Guarda, andare a Londra a prendere un inglese, e insegnarli a parlare l’italiano, è stata una cosa che avrei evitato molto volentieri. Se l’ho fatto, vuol dire che non c’era proprio un’altra strada.

Perché questa scelta di lasciare le canzoni in lingua originale? Non c’è discontinuità nell’andamento dello spettacolo?

Ma sai, tra tradurre "Brucia brucia brucia disco inferno brucia" e cantare "Burn burn burn disco inferno burn" non credo che cambi molto nella narrazione, e comunque ci sono i sopratitoli che aiutano. Vedi, mi rifaccio sempre a come i film sono stati fatti: se avevano le canzoni tradotte faccio lo spettacolo con le canzoni tradotte, se il film aveva le canzoni in inglese con in sottotitoli lo lascio così. Lo abbiamo trovato così, lo abbiamo amato così, e così ce lo ritroviamo a teatro. Questa della "Febbre" è una mia libera interpretazione, mi piace così, e funziona.

Con questo allestimento ricreate il film, praticamente. E’ la via giusta da seguire a teatro? "Rifare" un film?

Beh, non è che "rifacciamo" il film… Ci riagganciamo all’atmosfera che il film ha lasciato nella memoria, è ben diverso. E poi la differenza sostanziale è che nel film non si cantava, la canzone era solo un elemento di contorno e commento. Nel musical, invece, le canzoni diventano parte del racconto; la differenza dal film è già tutta qui.

Ma la via italiana al musical, invece, da dove passa? Di allestimenti, ormai, ce sono molti, e tra qualche giorno debutta a Roma il titanico Notre Dame de Paris di Cocciante, dopo un battage pubblicitario roboante. Qual è la vostra sensazione?

Mah… il Notre Dame è uno spettacolo che mi è piaciuto tantissimo, tanto l’allestimento quanto le musiche. Il fatto è che… non è un musical; è una opera eccellente, una "opera-balletto": Cocciante ha fatto un lavoro egregio, e andrò sicuramente a vedere la versione italiana. La via italiana al musical… in realtà sono tante: ognuno segue la propria e poi è il pubblico che decide quale andare a vedere. Più ce ne sono e meglio é, fa tutto bene a tutti. Certo, l’unica via che sento e che deve appartenere a tutti è quella della qualità.

Per il futuro? Ci sono nell’aria "Jekyll & Hide" e "Cats"…

Sì, ho rilevato i diritti di "Cats" per avere la libertà di farne una versione nuova, cambierò le coreografie e la regia, rimanendo ovviamente fedele alle musiche. "Jekyll & Hide" è un musical a cui tengo tantissimo, e spero davvero di farlo presto.

Venire a Trieste, per voi, cosa significa?

Vedi, io a Trieste ci sarei venuto volentieri con My Fair Lady, che era lo spettacolo giusto per questa città. Purtroppo ci vengo con un musical che è un po’ diverso da ciò che rappresenta l’eredità dell’operetta… Ma un pubblico preparato fa sempre bene!

A proposito dello spettacolo. Il pubblicizzatissimo debutto triestino è stato rinviato di una giornata per dar modo ai tecnici di montare l’impegnativo allestimento. In effetti, il colpo d’occhio dell'interno dell'Odissey e del dettaglio del ponte, con i cavi sospesi e uno scorcio della struttura in mattoni, sono di grande impatto visivo.

Gradevoli e sufficientemente scatenate le coreografie, ottima l'orchestra, bravi i cantanti. Anche se, sinceramente, la presenza inquietante dei tre emuli dei fratelli Gibb, risulta qua e là fuori luogo. Sembravano scimmiottare le tre singers della "Piccola Bottega degli Orrori", o la figura narrante del Che in "Evita", ma senza concorrere allo sviluppo dello storia.

Davvero insufficiente, ahimè, la recitazione. Passi per Torkia, ma gli altri potevano metterci un po' più di impegno: uno spettacolo non può reggere solo con il richiamo delle canzoni e con il furbetto medley finale, dove - inevitabilmente - tutto il pubblico di trentenni-quarantenni-o giù di lì balza in piedi e si mette a ballare "Disco Inferno", trascinato dall'intero cast sul palco.

Comunque, effetto nostalgia e successo assicurati: alla fine si sono divertiti davvero tutti, soprattutto una signora un po' in là con l'età che si è avventata su Sebastien Torkia, per rifilargli un sonoro bacio sulla guancia, durante il giro finale in platea.

Francesco Moretti

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