LES FOLIES DE LA BELLE EPOQUE DE PARIS, OVVERO...
MOULIN ROUGE

 

Si prova un po' di perplessità dovendo parlare del musical dell'Accolita del Trabattello debuttato lo scorso 23 dicembre al Teatro Colosseo di Torino. Qual è il titolo esatto? I cartelloni pubblicitari che da settimane in perfetto stile londinese tappezzano Torino annunciano la messa in scena di "Les Folies Du Moulin Rouge". Diversamente i volantini in distribuzione nel foyer parlano di "Les Folies de la Belle Epoque". Ancora diverso il titolo stampato con grande cura grafica nei cd già in vendita in occasione del debutto assoluto (altro tocco di west end-style, purtroppo però mancava un programma di sala o almeno un pieghevole per il "chi-è-chi"): "Les Folies de Paris". Per comodità useremo il titolo di "Moulin Rouge", che del resto corrisponde perfettamente al contenuto dello show, che ripropone, in versione teatrale, la medesima vicenda, gli stessi personaggi, quasi tutte le canzoni, e l'iconografia del celebre film di Baz Luhrmann, pellicola ispiratrice che avrebbe meritato almeno una citazione o un ringraziamento.

Detto questo, ci sentiamo solo di fare tantissimi complimenti al Trabattello e al regista Ivan Fabio Perna. "Moulin Rouge" è una vera sorpresa, merito innanzitutto dei due protagonisti. Sara Bellantoni è una Satine attraente e sensuale, la sua voce è pulita, moderna e potente. Robert Steiner è simpatico, appassionato e canta con disinvoltura il difficile repertorio di Christian, che va dai Queen a Elton John (ricordiamo che qui tutti cantavano dal vivo con le loro voci, a differenza del film). Da brividi i loro "One Day I'll Fly Away", "Come What May" e "Your Song". Marco Caselle, anche produttore esecutivo e già apprezzato nei panni di Caifa, esplora anche territori più tenorili della sua tessitura vocale, offrendoci brillanti interpretazioni di "Nature Boy" e "Roxanne", rivelandosi un interessante bari-tenore. Ma se i citati, intendiamoci: tutti giustissimi nei loro ruoli, non fanno gridare al miracolo nella recitazione, ci pensa Umberto Scida a offrirci una interpretazione maiuscola nei panni del Duca comicamente in balia del fascino della bella Satine: costruisce il personaggio con piccole movenze della mimica facciale e risulta irresistibile nella sua eleganza. E' un piacere ritrovarlo perché proviene dal mitico cast di RENT, che come sappiamo ha lanciato talenti a piene mani: lui era uno dei pochi che ancora mancavano all'appello. Tra gli altri interpreti ricordiamo Alessio Schiavo, un buffo-patetico Toulouse-Lautrec nano (recita in ginocchio) ed Elisa Zampieri (che canta con intensa sensualità Milord di Edith Piaf).

Una parola va spesa per le luci di Massimo Vesco, ricche di effetti spettacolari che rendono multi-funzionale la scenografia fissa di Antonietta Megna. Gradevoli le coreografie dell'Impronta Dance Project, che raggiungono momenti di grande intensità in un paio di assoli e pas-de-deux. Fa difetto, almeno alla prima, la qualità dell'audio in sala, con i microfoni troppo "intubati" e un'amplificazione non distribuita a dovere. Di grande impatto invece gli arrangiamenti curati da Bruno Giordana e Emilio Rossi, che strizzano decisamente l'occhio alla colonna sonora del film, luna tenorile compresa.

Proprio l'estrema fedeltà alla fonte cinematografica, se da una parte rappresenta un limite creativo - forse una compagnia così giovane avrebbe potuto osare qualche novità - dall'altra testimonia la vittoria di una sfida produttiva e artistica non facile da parte di una realtà che finora non era andata oltre un lodevolissimo Jesus amatoriale. La sfida di trasformare un film idolatrato da molti appassionati in uno spettacolo teatrale godibile e sfarzoso.

E quando nell'happy-end dell'affascinante finale indiano - una festa per gli occhi i costumi di Maria Sottile & C. - irrompe la tragedia della morte di Satine, il caldo pubblico del Teatro Colosseo si è fermato in un sospiro di commozione per poi sciogliersi in un convinto applauso.


Franco Travaglio

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