DANIELE LUTTAZZI: "ECCO IL MIO MUSICAL"

Intervista realizzata nel febbraio 2005 da Franco Travaglio

In giro per l'Italia col suo nuovo monologo "Bollito misto con mostarda", Daniele Luttazzi debutta nella veste di compositore e cantante in "Money For Dope", il cd che raccoglie i brani di un musical di grande impatto e originalità.

Come ti sei avvicinato alla musica e al musical?

E' stato mio nonno a insegnarmi a leggere e amare la musica. Lui suonava il corno in un'orchestra, era allievo di Arrigo Faini, il primo corno alla Scala con Arturo Toscanini. Faini era nostro concittadino, era nato anche lui a Santarcangelo di Romagna. Lui mi ha fatto apprezzare il melodramma, Verdi, Rossini, mentre dai miei zii ho ereditato la passione per la musica leggera: nel '67 mi fecero ascoltare "Sergent Pepper", quando era appena uscito. Fu un'esperienza clamorosa, in più mi divertiva molto la copertina... Inoltre ascoltavo Mozart, che fu importantissimo per la nascita in me di un gusto musicale. Più abitui il tuo orecchio a musica di così alto livello, più ti appassioni all'orchestrazione, agli arrangiamenti, a l'edificio musicale.

Il primo impatto col musical invece avvenne tramite il cinema hollywoodiano: alcuni film musicali mi piacevano moltissimo. Circa vent'anni fa mi venne voglia di andare a vederli in teatro a New York. Mi colpì moltissimo il fatto che gli americani suonavano, cantavano e ballavano dal vivo, una cosa impressionante...

Quando hai voglia di gustarti un bel musical vai per forza all'estero, o apprezzi anche il musical italiano?

Non ho mai visto un musical in Italia, da questo punto di vista non sono in grado di risponderti. Per me è una forma di spettacolo tipicamente americana e inglese. Della produzione britannica in particolare mi piacciono moltissimo le operette di Gilbert & Sullivan, mi piace l'uso dell'umorismo e della parodia che contraddistinguono testi e musiche di questi due pionieri del musical.

Moltissimi grandi comici della storia sono stati anche bravi musicisti e compositori, da Totò a Charlie Chaplin, passando per Rascel, Mel Brooks, Woody Allen, etc. Perché secondo te c'è sempre un forte legame tra musica e comicità ?

Tu sei il primo che lo noti, in effetti è verissimo. Moltissimi comici hanno scritto canzoni, anche serie, hai citato Renato Rascel: è eccezionale, ha scritto canzoni clamorose, basta pensare a "Arrivederci Roma", "Tu sei romantica". Inoltre tutti comici che io conosco suonano uno strumento, senza scomodare i casi eclatanti come Danny Kaye, capace di vero virtuosismo musicale. Il motivo è molto semplice: la comicità ha a che fare coi toni, coi tempi e coi ritmi. La struttura di una frase comica è analoga alla struttura di una poesia, e sappiamo che legame stretto ci sia tra musica e la poesia. Non ci si pensa mai, ma è un passaggio immediato: per fare il comico devi possedere un senso musicale, avere orecchio, altrimenti non sai come 'porgere la battuta'. A me è capitato di recitare degli sketch con alcuni attori: è stato drammatico toccare con mano che tutto ciò che io davo per scontato, il modo, il tono e il ritmo con cui la battuta doveva essere porta, per loro non era affatto ovvio. Ho capito che era solo questione di orecchio: c'è chi è intonato e chi non lo è, nella comicità come nella musica.

Quando è nata l'idea di Money For Dope?

Prima di tutto nacque la title-track. La scrissi nel ’70 quando a Rimini una mia amica morì di overdose. Era il periodo in cui il consumo di eroina stava dilagando con effetti devastanti. Suonai il brano una volta sola col mio gruppo e vidi l'impatto che suscitò sul pubblico, che ammutolì letteralmente. Evidentemente il dolore che la canzone veicolava era vissuto da tutti: l’eroina aveva gettato nello smarrimento una comunità intera. Mi venne quindi l'idea di un progetto artistico più completo che narrasse l'assurdo di un'esistenza emblematica: quella che sembrava una vita aperta al futuro era stata troncata, consegnandosi in maniera inconsapevole all'ignoto e alla morte. Il completamento dell’opera ha richiesto vent'anni di lavoro. Da una parte ho dovuto far sì che una materia così grave decantasse col tempo, altrimenti non avrei maturato il giusto distacco per poterla narrare. D’altra parte mi rendevo conto che avrei dovuto accrescere la mia conoscenza musicale: alcune delle ultime canzoni che ho scritto sono molto complesse dal punto di vista armonico, vent'anni fa non sarei stato in grado di crearle. Nel frattempo, nel segreto della mia cameretta, mi sono educato, in maniera approfondita. Ma si impara molto facilmente con degli obiettivi pratici da raggiungere. Quando la applichi nel concreto, anche una teoria che ti può sembrare astrusa in realtà ti apre nuovi mondi.

Quali artisti ti hanno influenzato nella composizione?

"Money For Dope" è un musical ambientato negli anni '70, a cui ho impresso uno stile "Broadway" cantandolo in inglese, proprio per accentuare provenienze e tributi. Negli anni '70 il mio gruppo, gli "ze Endoten control’s", suonava musica new wave. All'epoca dominavano la scena internazionale gruppi come i Talking Heads e i Joy Division, i quali rappresentano l'influsso predominante della mia composizione per quanto riguarda la parte ritmica. La parte melodica risente invece della musica che amo: i Beatles, che rappresentano per me un grande codice, Lucio Battisti, che non ho mai smesso di ascoltare negli ultimi vent’anni, e Mozart: può sembrare paradossale ma non lo è. Inoltre la mia musica risente della lezione di una serie di compositori americani degli anni '40 - '50, e degli arrangiatori che fecero grande la canzone americana. Penso a Nelson Riddle, a Billy May, Neill Hefty, Pete Rugolo. L'arrangiatore di "Money For Dope", Massimo Nunzi, ha lavorato in America proprio con Pete Rugolo, quindi collaborare con lui è stato molto semplice. Lui arrangia all'americana e ci si intendeva molto rapidamente. Ad esempio quando gli dicevo "Guarda, qui mi serve una cosa alla "Cotton Club", rispondeva "Perfetto!" e realizzava esattamente quello che avevo in mente. Inoltre nel disco hanno suonato bravissimi musicisti jazz: a un certo punto c'è un clarinetto che accenna a "Caravan". Si è creato un bellissimo il gioco di rimandi: c'è una continua derivazione tra il testo e la musica ma anche tra la musica e l'arrangiamento, che aggiunge un livello ulteriore di significazione. Chi è competente in tutti questi settori apprezza l'operazione a 360 gradi, ma anche per l’orecchio meno esperto il disco si rivela un prodotto godibile, perché contiene melodie solidissime. Ogni canzone deve avere una sua identità, e l'identità è data dalla melodia: la veste dell’arrangiamento non fa altro che accentuarla.

Come definiresti il tuo approccio narrativo, senz'altro singolare, alla drammatica storia della protagonista di Money For Dope? Si può fare un parallelo col tuo modo di raccontare la politica o il sesso nei tuoi monologhi satirici?

La satira che utilizzo nei monologhi verte su argomenti che si prestano al trattamento grottesco, un tipo di ironia che funziona per accumulazione. In questo progetto invece ho usato un tipo di ironia che funziona per sottrazione, anche questo è un influsso del mondo anglosassone, e quindi il procedimento è contrario. Potendo agire su diversi livelli - testo, melodia, armonia, arrangiamento - l'impatto drammatico della materia viene stemperato in una serie di riduzioni continue. Il risultato possiede quindi una sua tridimensionalità, senza avvertire la pesantezza che l'argomento potrebbe evocare. E' una drammaticità vista con la saggezza maturata in vent’anni, che riesce a vedere gli avvenimenti in prospettiva. All'epoca subivamo la vicenda e non ce ne rendevamo conto, oggi riusciamo a capire che le speranze di una generazione vennero conculcate dalla droga e dal terrorismo. Arrivarono poi gli anni '80, l'edonismo reaganiano, la disco-music, che spazzarono via tutto. Nel disco questo momento è evocato dalla chitarra di Davide Aru, che nella penultima canzone sembra concludere tutto il musical, come l’ultimo refolo di vento dopo la tempesta.

I musicisti con la loro esperienza hanno contribuito moltissimo nell’esprimere appieno le intenzioni di ogni brano. Ad esempio in "I Can't Stand It" - la canzone ambientata negli anni '80 in cui il protagonista canta il suo dolore scimmiottando Michael Jackson - qualcosa non funzionava, mancava un suono. Eravamo già in sala di registrazione, il pianista d’un tratto dice: "Un momento, un momento, datemi mezz'ora". Va a casa e torna con una tastiera Oberain anni '80, la accende: quello era esattamente il suono che ci serviva.

Inoltre i musicisti non hanno saputo di chi erano le canzoni fino al momento di registrare. Quando hanno visto le partiture sono rimasti molto sorpresi del fatto che le avessi scritte io. Loro pensavano al massimo che avessi potuto scrivere canzonette da cabarettista.

Dopo l'uscita del disco vedremo il tuo musical anche nei teatri? È vero che Garinei in persona lo vorrebbe al Sistina?

Mi piacerebbe portarlo in giro da una parte col mio gruppo musicale sotto forma di concerto, dall'altra vorrei metterlo in scena sotto forma di musical. Non penso però ad un musical di tipo narrativo-realistico, perché la materia non si presta, ma ad uno spettacolo in cui un corpo di ballo, supportato da scenografie adeguate, narri con il linguaggio della danza i dieci quadri che corrispondono alle canzoni del disco, che verrebbe eseguito come colonna sonora e ampliato nella parte strumentale.

Il giorno stesso in cui sul Corriere della Sera è uscito l'articolo che presentava il progetto, mi ha telefonato Pietro Garinei, dicendo che vorrebbe portarlo al Sistina, e invitandomi ad un incontro. Questo fatto mi ha colpito molto favorevolmente. Secondo me è così che dovrebbe succedere quando viene creata un’opera che ha determinate potenzialità: qualcuno dovrebbe interessarsene. In Italia invece questo non accade mai. E' il motivo per cui prima ho fatto il disco, e solo dopo ho cominciato a parlarne. Potevo andare benissimo da un impresario teatrale e dirgli: "Ho intenzione di fare un musical, questi sono gli spartiti". Cosa avrebbe sortito questa cosa? Niente. Invece così, avendo già il disco pronto, posso già far capire di cosa si tratta. "Questo è il musical, vi interessa?".