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FABRIZIO ANGELINI

Intervista realizzata da Francesco Moretti

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Trieste, luglio 2005 - A un'ora dal debutto triestino di "Nunsense", incontro Fabrizio Angelini per quella che pensavo fosse una normale, veloce, intervista. Invece si è rivelata una interessantissima e coinvolgente chiacchierata che ha un po' "sforato" i tempi (tanto che l'assistente di scena è venuto preoccupato a cercarci…). Ve la riporto pari pari.

Fabrizio Angelini e il musical: un lavoro che si è trasformato in passione o un sogno che si è avverato?


La seconda, sicuramente. Io ero appassionato di Garinei e Giovannini dall'età di 14-15 anni, ho visto otto volte "Aggiungi un posto a tavola" quando frequentavo il liceo, ho visto "Rugantino" cinque volte e comunque era quello che volevo fare da grande, sicuramente.

Poi ho cominciato a studiare insieme ballo, canto e recitazione. Nel 1990 è capitata questa audizione con la Rancia per fare "A chorus line": all'inizio non ci credevo, mi dicevo: "ma dove vanno questi?": la Rancia non esisteva, non li conoscevamo… Però mi sono presentato alle audizioni, sono stato preso, e lì ho cominciato a fare quello che sognavo da piccolo.

Tra l'altro "A chorus line" è stato il mio primo musical che ho visto a teatro, nel 1991…


Era il secondo anno, c'ero anch'io e facevo Paul il portoricano, quello che all'inizio si rompe la gamba!

Una passione che viene da lontano, quindi…


Guarda, era nel mio DNA, perché non è che ho una tradizione di famiglia… E' che rimasi folgorato da quello che vidi in "Aggiungi un posto a tavola"! Pensa, con i Lego ne ricostruivo la scenografia… Poi un'amica che abitava nel mio condominio e lavorava nell'allestimento mi portò dietro le quinte, e da lì ho capito che era proprio quello che volevo fare!!!

E intraprendere questa carriera, all'epoca, non era così facile…


Non esisteva proprio! A parte il Sistina, che aveva una sua tradizione, non se ne parlava assolutamente… e infatti i primi provini andai a farli lì.

Che differenze riscontri con la preparazione dei ragazzi di oggi?


Adesso la preparazione è molto più completa, e anche il livello si è molto alzato. In giugno abbiamo fatto l'audizione per la nuova stagione e si sono presentati in 600, che anche per noi è un numero altissimo; di solito si presentavano in 350-400… Poi i ragazzi sono effettivamente molto più bravi, sono molto più completi, perché si è affermata la tradizione del musical nostrano e quindi sono nate le prime scuole, gli attori hanno cominciato a studiare canto, i cantanti a studiare danza… E c'è soprattutto più organizzazione: noi eravamo veramente i pionieri, non sapevamo come fare; anche se siamo andati subito a new York per capire ed imparare, il mestiere ce lo siamo dovuto inventare.

E la grande preparazione sta comunque alla base di questo Nunsense, perché le cinque performer che interpretano le suore sono così spontanee che sembrano davvero suore…

Infatti il lavoro più impegnativo che ho effettuato sulle attrici e con le attrici è stato proprio quello di evitare gli aspetti ridondanti, innaturali, esagerati; per arrivare ad una naturalezza che spinga il pubblico a chiedersi - e a volte capita - "ma son suore vere o finte?". Poi è chiaro che a un certo punto si entra nel gioco, ma siccome all'inizio le interpreti stanno in platea, parlano col pubblico in sala e lo accolgono mentre entra, questo dubbio un po' c'è, ed è quello che vogliamo.

Parliamo un po' della tua carriera, e magari di quel "Francesco il musical" che purtroppo è sparito dalle scene…

Purtroppo ci sono stati problemi di diritti e controversie tra la produzione americana e quella italiana, ed è finita così, senza alcuna speranza di poterlo recuperare. Gli americani mi avevano ricontattato con l'idea di rifarlo (e comunque non sarebbe stato la stesso spettacolo), ma poi la cosa è caduta lì. E chi lo sa… speriamo. Ma credo che, onestamente, sia impossibile.

Ma tra tutti i lavori che hai fatto, come interprete, o regista, o coreografo, qual è quello al quale sei più affezionato?

Ce ne sono tanti, naturalmente. Sono stato fortunato, ho lavorato molto e ho fatto cose bellissime. Sicuramente come performer "A chorus line", anche perché è stato il primo, abbiamo lavorato con gli americani, ho fatto un grosso ruolo, era una novità per tutti noi…L'abbiamo vissuta con due mesi di prove, con pianti e risate, perché c'è stato un grosso lavoro di preparazione su noi stessi, quindi tirando fuori delle emozioni nostre, e così via. Poi "Sette spose per sette fratelli" per la coreografia, anche perché era la prima volta che firmavo le coreografie per una etoile come Raffaele Paganini e per una compagnia di 24 persone, e perché è uno spettacolo che ha avuto un grande successo. Tra l'altro è nato proprio qui a Trieste, una città che ci porta sempre fortuna: infatti è stato rappresentato fino alla stagione scorsa con oltre 500 repliche. E poi c'è "RENT", in cui ho lavorato come regista, anche se è stato ripreso in maniera identica alla versione americana. Mi ha dato molte soddisfazioni per il lavoro che ho fatto con gli attori e per la qualità che siamo riusciti a raggiungere. In seguito amo ricordare "Bulli e pupe", un altro musical nato qui a Trieste, in cui per la prima volta ho firmato regia e coreografia di uno spettacolo della Rancia non diretto da Saverio Marconi, quindi un impegno e una responsabilità molto grandi. Infine questo "Nunsense", che è una chicca, uno spettacolo piccolino - cinque performer e quattro musicisti - però me lo sono fatto e costruito io: l'ho anche prodotto con l'aiuto della Rancia e della Compagnia del Gentile. Mi ci sono dedicato anima e corpo, e sono molto contento del risultato. Ammetto che è molto difficile portare le persone a teatro quando non puoi contare su di un titolo famoso e degli interpreti famosi, ma i riscontri che finora abbiamo ottenuto, sia di critica che di pubblico, sono stati entusiasmanti. Il pubblico viene molto coinvolto, apprezza molto lo spettacolo, la qualità e l'alto livello professionale di questi... "mostri" posso dire, perché sono molto, molto in gamba. Naturalmente sono tutte persone che lavorano nel campo da tempo: tutte quante avevano già lavorato con me, tranne Lisa Angelillo, che è la madre superiora, con la quale ci siamo conosciuti in un seminario di formazione. Elisa Santarossa ha lavorato in "A chorus line" e "West Side Story", lei poi è di Pordenone e qui a Trieste gioca un po' in casa. Francesca Cinanni aveva fatto "Hello Dolly", Serafina Frassica era una delle protagoniste di "RENT" e Paola Lavini era nel cast di "Bulli e Pupe".

Tra l'altro, sia "A chorus line" che "RENT" sono stati due grosse fucine di telenti...

Già: due fucine di talenti e secondo me anche due spartiacque. Chorus ha stravolto un po' il modo di fare musical in quel momento: niente costumi ma abiti da prova, niente scena ma solo specchi che giravano. Inoltre la struttura trasformava davvero canto, recitazione e danza in una cosa sola. Quindi ci volevano performer completi ed un contenuto molto forte, nel quale la gente un po' si rispecchiasse. "RENT" è stato un po' la stessa cosa: personaggi veri, reali, ed una performance a metà tra concerto e spettacolo, perché c'erano i musicisti in scena, c'erano i microfoni con gli archetti volutamente visibili; però contemporaneamente si vivevano grosse emozioni che si cercava di trasmettere al pubblico. Anche per Broadway "RENT" è stato un momento di rottura e cambiamento, tant'è che dopo quasi dieci anni dal debutto è ancora in scena.

Potremmo definirli due musical "realisti"?

Sì, raccontano la vita di persone vere: quando Bayork Lee ha montato con noi "A Chorus Line", non ha fatto altro che trasferire una parte di noi nei personaggi, di cercare delle affinità; ed è quello che io faccio sempre con gli attori: un grosso lavoro "a tavolino" per trovare affinità, differenze. Per Nunsense, poi, non ho fatto audizioni, ho chiamato le cinque ragazze, abbiamo fatto una verifica, però quelle che ho chiamato sono state prese.

Avete lavorato un po' di intuito...

Sì. Devo dire che ho fatto tutta questa cosa con Gianfranco Vergoni, che ha fatto traduzione e adattamento e ha collaborato alla regia, tutto quanto insieme a me. Lui ha fatto "Chorus Line", "West Side Story", "Sette Spose"... è con la Rancia da molto tempo, e di musical ne sa un bel po'. Abbiamo lavorato insieme, abbiamo focalizzato le persone e scelto loro cinque, e loro mi hanno detto: "Senti, tu ci conoscevi, e va bene, ma non potevi conoscerci così tanto da capire che i personaggi eravamo noi!" Questa è una bella soddisfazione...

E a proposito di traduzioni e adattamenti in italiano... Qual è la tua opinione a riguardo? Sono sempre necessari?

Dunque, sempre... devo dire che quando vedo "Jesus Christ Superstar" in lingua originale, ad esempio, io me lo godo tantissimo, ma perché lo conosco a memoria, fa parte della mia adolescenza...

Ma JCS sembra quasi intoccabile, dev'essere così e basta...

E' vero. Però penso che chiunque debba riuscire a fruire di uno spettacolo. Se mia madre va a vedere un musical a teatro, deve capire, goderne, divertirsi. Non possiamo pretendere che tutti sappiano l'inglese e lo sappiano ad un certo livello; con i sopratitoli, o sottotitoli che siano, non è così semplice: non entri dentro lo spettacolo, devi dividerti tra quello che vedi, che senti e quello che leggi. Sono del parere che la soluzione è fare una buona traduzione. Con "Nunsense" abbiamo lavorato tanto tempo, per tre anni, tra un lavoro e l'altro… solamente per ottenere i diritti ci ho messo un anno! Abbiamo lottato per farne un adattamento che fosse comprensibile al pubblico italiano, e ci siamo riusciti: lo spettacolo si svolge in Italia - in particolare stasera si svolge alla Sala Tripcovich - perché è tutto vero, le attrici lo dicono: "Benvenuti alla Sala Tripcovich"... Per cui si svolge proprio in quel momento e in quel posto! Abbiamo cercato di fare una cosa molto accurata dal punto di vista della metrica, del significato, del contenuto; volevamo creare una situazione adattata all'Italia, con riferimenti ai nostri personaggi dello spettacolo: suor Germana, don Mazzi, suor Paola: li nominiamo tutti. Perché queste cinque suore la tv la vedono, hanno il cellulare, vivono la vita di tutti i giorni, sono perfettamente calate nella realtà di oggi. L'elemento che secondo me ha funzionato è che all'interno delle canzoni siamo riusciti a dire cose che spesso si riescono ad esprimere solo coi dialoghi. Non solo, siamo riusciti anche a lanciare dei messaggi: c'è una canzone che si chiama "La televisione", che descrive quanto il mondo televisivo sia patinato, finto, effimero, e offra però allo spettatore la possibilità di rilassarsi e non pensare a niente.

Quindi rispetto all'originale americano, questa versione italiana ha un qualcosa in più?

Dunque, noi siamo stati molto fedeli, anche se tanti ci hanno detto che abbiamo inventato: no. In più abbiamo colto quello spirito ironico che arriva direttamente alla gente. Se noi avessimo mantenuto l'ambientazione americana, citando personaggi che a noi dicono poco o niente, il pubblico non sarebbe stato coinvolto nello stesso modo. Ad esempio, una delle suore è la sostituta dello spettacolo. Però lei non è d'accordo: si sente una star e vuole avere il suo numero. Nell'edizione americana si lamenta dicendo: "Chi lo sa che Dolly, oltre che da Carol Channing, è stata interpretata anche da B.B. Osterwald? Questa B.B. Osterwald che fine ha fatto? E' nel dimenticatoio...". Ecco, se noi avessimo detto questo, a chi sarebbe importato? Allora abbiamo nominato una persona, che naturalmente il grosso pubblico non conoscerà, ma è una persona esistente, vera, che è una nostra amica e che si chiama Eleonora Russo, e che in "Grease" per tre giorni a Roma ha sostituito Lorella Cuccarini (che nel frattempo era andata a Hollywood a girare Star Trek). Tra l'altro, è la stessa che in "Chicago" per due settimane ha sostituito Maria Laura Baccarini: e noi diciamo tutto questo. "Eleonora Russo è un nome / di sicura garanzia / sostituì la Cuccarini / con dovuta maestria / e altresì la Baccarini / che Chicago un dì lasciò / ma un ruolo suo l'ha avuto? / Ti assicuro, proprio no!". E poi: "Ti ricordo un'altra Russo / la napoletana Altea / quella di sostituzioni / ne ha già fatte una marea / tu puoi buttarla in scena / lei sa tutto, è sempre ok / poi arriva una velina / e il ruolo lo daranno a lei!". Insomma, con questi versi abbiamo voluto ribadire che per fare uno spettacolo in Italia purtroppo ci vuole un nome, che spesso è una velina a cui manca la preparazione...

Si diceva che nella prossima stagione ci sarebbero state pochissime nuove produzioni, e invece ne arriveranno almeno quattro: due della Rancia, ovvero "The Producers" e "Sweet Charity", poi forse c'è "Mamma mia!" e infine il nuovo "Dracula" di David Zard, con le musiche della PFM. Altre ne verranno. Allora, questa crisi c'è o no?

La crisi c'è, perché si è obbligati a lavorare con budget ridottissimi, proprio all'osso. E' molto faticoso e impegnativo soprattutto per le persone che devi scritturare, per i materiali, bisogna davvero ingegnarsi in mille modi per riuscire a risparmiare. La Rancia fa questo lavoro da quindici anni, ha fatto cose molto importanti e tenta di proseguire per questa strada; è una casualità che siano venuti fuori due grossi titoli nello stesso anno, ma ci sono state una serie di concomitanze e non abbiamo potuto dire di no. E per Saverio Marconi sarà davvero una sfaticata. Per quanto riguarda "Mamma mia"... aspettiamo e speriamo che vada bene! Tutti noi ce lo auguriamo, perché è quello che la Rancia ha tentato di fare con Pinocchio e Zard con Notre Dame, cioè uno spettacolo stabile in una città, e se la cosa funziona si apre un mercato per tutti quanti.

E intanto in Italia continuano a mancare i grandi musical degli anni Ottanta e Novanta, dal Phantom a Les Miserables... Continuiamo a vedere i titoli classici come West Side Story, Hello Dolly, Sette Spose (e onore al merito alla Rancia che ci ha creduto) oppure le nuove mega produzioni come Notre Dame o Pinocchio... e tutti i 20 anni in mezzo?

Non è facile produrre certi spettacoli, sia per i costi che per la cultura teatrale italiana. E' difficile portare il pubblico a teatro, ed è ancora più difficile farlo spostare da una città all'altra per andare a teatro. Quelle sono produzioni che devono essere stanziali, o comunque fare lunghi periodi nelle città. E spesso non ti concedono i diritti se non lo fai con l'orchestra, o se non usi quel tot di fari... Prendi Chicago, per esempio. L'allestimento era identico a quello che vedi a Londra o a Broadway. Ma non ha avuto successo, purtroppo; e non hanno potuto riprenderlo il secondo anno perché andava rifatto allo stesso modo e quindi con gli stessi costi, e per una tournee sarebbe stato insostenibile. Ora io stesso, stando anche dalla parte produttiva di uno show, mi rendo conto benissimo di come stanno le cose. E mi piacerebbe potervi raccontare - magari proprio qui, su "Amici del musical"- tutto quello che ho vissuto in questo periodo: dagli aspetti positivi, come l'entusiasmo, l'apprezzamento, la gratificazione, alla fatica di portarlo in giro. Perché un spettacolo come Nunsense, nel momento in cui devo venderlo nei teatri, deve scontrarsi con spettacoli di prosa che magari hanno il grande nome in cartellone ma che costano molto meno di una piccola produzione come la nostra. E allora fatichiamo a trovare un mercato... Io ci ho investito dei soldi, e se quest'estate va bene pareggerò i conti. Ma per fortuna in tutti questi anni ho seminato bene, e tecnici e attori mi danno una mano: magari prendono di meno, ma sono entusiasti, fanno piazze importanti, e si divertono, come la gente in sala!

Che dire allora in questi casi... In bocca al lupo?

In bocca al lupo... e un caro saluto agli Amici del Musical!

Francesco Moretti