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MICHEL ALTIERI

Intervista rilasciata il 20 marzo 2003

Dopo la fortunata novità del Ritratto di Dorian Gray il tempo di un cambio di look ed ecco la ripresa del musical originale di maggior successo in Italia, I Promessi Sposi. Come sta andando questa ennesima tornata di repliche?

Per quanto riguarda i miei repentini cambi di immagine, permettimi di ringraziare il mio consulente/look maker Michele Tiano che se ne occupa con estrema competenza e creatività.

Non mi sono mai fidato di nessuno, lo sanno tutti ... ma lui ha carta bianca e indovina sempre. Tornando ai Promessi, questo è il terzo anno!  Ancora  una volta  accolti da un appagante tutto esaurito… ovunque. Mi rendo conto di essere particolarmente cambiato dopo l’esperienza di Dorian e di aver ripreso i panni di Renzo con una nuova consapevolezza. Scenica ed umana. Quando interpreti un personaggio complesso, tormentato e poi torni ad uno più semplice e "comune", paradossalmente non sarà più la stessa cosa: una volta percepita la policromia di un’anima, non ci si può più ridurre alla banalità. Neanche per scherzo.

Vi sono grandi novità nel cast. Irene Fargo è la nuova Monaca Di Monza che regala al personaggio (ed alla compagnia tutta) una ventata di umanità ed energia… un alto acquisto, non c’è che dire. Umberto Noto, camaleontico astro nascente del musical, interpreta (ottima prova d’attore) un Tonio bizzarro contemporaneamente ad un Bravo spavaldo ed un Vicario meschino.Non si può resistere all’incanto poi degli assolo in lirico di Silvia Dolfi (che con lo pseudonimo di Priscilla Owens interpretava Sybil Vaine in Dorian) che ha impreziosito incredibilmente la parte finale dello show, e per finire la direzione artistica di una riconosciuta professionista americana come Jessica Polsky che coordina ogni replica in modo efficace e personalissimo.

La Perpetua di Sarah Falanga continua ad essere manifesto di un nuova concezione del "carattere", alla faccia degli abituali cliché! Il Don Rodrigo di Filippo Brunori è ancor più vigoroso e risulta ancor più inconcepibile per me non poter dividere nessuna scena con lui! Un attore ed un performer vibrante.

Se poi a tutto questo si aggiunge che Tato è di ottimo umore (investendoci di continue battute) e che Gianna Coletti
si aggira per i camerini con una pelliccia blu elettrico parlando come Greta Garbo… si potrà cogliere il clima variegato ed ilare che ci stiamo portando in tournèe… e che dunque ne spiega il successo. Manca solo Travaglio… sigh.

In Italia si stanno facendo strada due scuole di pensiero nella produzione di musical, il primo classico e di stampo anglosassone privilegia lunghe tournèe nei teatri, e l’altra di stampo francese si ferma più a lungo in importanti capoluoghi, mettendo in scena gli spettacoli in arene e palasport. Da artista e spettatore, quale delle due realtà ritieni più adatte al musical contemporaneo?

Da artista rispondo che dal momento in cui un musical si fa forte di un reale impatto emotivo, con storia, passione, talento ed intelligenza non mi interessa la formula scenica utilizzata. Purché vi sia un cuore che batte all’unisono tra stage e platea. Ultimamente ho adorato "C’era una volta scugnizzi" per la spontaneità degli interpreti , la cognizione tecnica rappresentata da regia, scenografie e coreografie, ma mi ha entusiasmato anche "Notre Dame" con i suoi parametri colossali, la sua valenza di evento concertistico atta ad enfatizzare il senso drammaturgico di una storia comunque sempre in primo piano. Direi che siamo fortunati, no? Abbiamo questo e quello… Certo non mancano i bidoni, le produzioni strampalate, gli incompetenti… ma del resto ci vogliono anche loro per rendere il gioco più divertente, per "formare" il senso critico del pubblico e per forgiare la dinamica pro-sopravvivenza degli addetti ai lavori che quindi imparano a fare delle scelte qualitative. Personalmente con il mio management si ricevono una valanga di proposte tra il paradossale e l’interessante ma attualmente resto fermo su un solo punto: lavorare con un maestro assoluto, uno che da 34 anni vive di teatro e sa tutto di teatro, uno che da attore infuoca il palco e che da regista ti insegna a fare altrettanto: ho scelto di restare nella scuderia di Tato Russo. Parliamoci chiaro: ci sono in giro grandi registi…ma l’ultimo genio è lui.

Tu viaggi spesso all’estero, dove, basti pensare alla tua recente esibizione al Celebrity Center International di Hollywood, hai anche molto successo. Quali differenze trovi tra il modo di fare musical in Italia e all’estero?

In Italia il fenomeno è agli albori. Tutto qui. Ci sono meno investimenti poiché vi sono più rischi. I talenti sono in tutto il mondo, semmai la differenza sta nella mentalità di formazione professionale. Lo sanno tutti che in America ti insegnano immediatamente a ballare, cantare e recitare mentre in Italia ciò è possibile solo da pochi anni e solo grazie all’avvento di alcune autorevoli scuole. Dalla mia esperienza di studio oltreoceano, posso dire di aver riscontrato una maggiore attenzione a portare la verità in scena. E, cosa buona e giusta, ogni interprete vanta un percorso anche nella prosa più classica… se ciò avvenisse da noi saremmo a buon diritto orfani di quei cantanti così maledettamente convinti che per recitare basti impostare la voce come nelle pubblicità dell’anticalcare… C’è poi chi sostiene che in America i personaggi TV non contaminino il musical, mentre i cast sono pieni eccome di attori di fiction e soap! Certo lì sono tutti bravi , qui invece ce n’è qualcuno pietoso con tanto di gloria in ditta, note calanti e reverberone finale per dare il colpo di grazia. Scusatemi ma non si può far sempre finta di niente ! Menomale che l’esercito di bravi performers nostrani si sta comunque facendo strada! Ragazzi, non mollate! Insistete! Quando la carriera si fa più dura, due sono le categorie di persone: quelli che cedono e quelli che continuano. I più rari. Indovinate chi ha più probabilità di farcela?!

Ora molti cantautori italiani hanno in cantiere un musical, come giudichi questo fenomeno, anche alla luce del grande successo di Notre Dame De Paris di Cocciante?

Assolutamente lecito ed opportuno. Del resto Elton John non ha forse creato dei capolavori per il musical?

Resta comunque fondamentale l’apporto di regista e librettista, per carità. La musica DEVE fondersi al teatro.

Tu hai fatto parte del mitico cast di Rent. Tranne pochissime eccezioni tutti i componenti di quella compagnia hanno oggi molto successo in altrettanti musical, quale fu il segreto di quella produzione che nonostante la difficoltà di proporre un musical così moderno e intenso ebbe così grande successo da entrare nel culto degli appassionati italiani?

La forza e la sincerità di 15 artisti che attraverso una storia struggente e dei personaggi intensi hanno rafforzato la speranza del pubblico nel poter vivere un sogno. Nonostante tutto. Nonostante il mondo a volte non sia d’accordo.

C’è un legame forte ancora tra tutti noi. Quando ci si incontra, ci si guarda negli occhi e si ritrovano tutti i momenti, le gioie, i pianti, le emozioni di un’esperienza incancellabile. Ricordo 4 anni fa a New York in un café io e Matteo Setti, poco più che coristi nella prima edizione di Rent, decidemmo che ce l’avremmo fatta, che avremmo prima o poi ottenuto l’adeguato riconoscimento…ci facemmo una promessa dandoci coraggio l’un l’altro. Era difficile. Nel cast era inevitabile che ci fosse qualche "star" preoccupata dalla presenza di nuove promesse. Qualcuno non salutava o si permetteva di esclamare quanto fosse inconcepibile dividere lo stesso palcoscenico! Un atteggiamento che mi fece del male ma che mi ha rafforzato. Un atteggiamento vile che, giunta la mia rivalsa, ho deciso di non adottare mai con nessuno. Nessuno. Beh… l’anno dopo ci ritrovammo nei panni di Collins e Roger… poi sono è stata la volta di Notre Dame per lui ed I Promessi sposi e Dorian per me. C’est la vie.

Qual è il tuo rapporto con la critica giornalistica?

Direi che non abbia nulla di cui lamentarmi. Ho collezionato definizioni e recensioni particolarmente felici, ma certo non ho e non avrò mai la presunzione di piacere a tutti. Aggiungo poi che con taluni critici vale proprio la pena di confrontarsi personalmente. Altri vanno, ahimè, totalmente ignorati se non addirittura invitati ad occuparsi di manualistica culinaria per investirsi di maggior autorevolezza.

Franco Travaglio

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